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Collaborazioni - Poesia Dialettale: Ignazio Buttitta e Biagio Marin 
Ho conosciuto Ignazio Buttitta credo alla metà degli anni’60. Stavo facendo una “serata” a Bagheria - dico “serata” e non “concerto” come si dice adesso, per me il concerto è un’altra cosa… - avevo cantato in una grande piazza proprio davanti a una chiesa e alla fine venne Buttitta a salutarmi e a farmi i complimenti. Andammo subito d’accordo e mi invitò a casa sua.
Bevemmo una bella bottiglia di vino rosso siciliano e parlammo di poesia. Mi regalò un suo libro di poesie e facemmo tardi. A un certo punto uscì alla stanza e ritornò con un enorme pacco di fogli. Disse che voleva leggermi dei testi di canzoni inedite che aveva scritto: era almeno un chilo di fogli. Io ero un po’ stanco ma non dissi nulla. Incominciò a leggere e subito ci fu un black out…
E così, senza luce, dovemmo salutarci per forza.
Ma quando tornai a Roma e lessi le sue poesie, mi entusiasmai e proposi alla Fonit Cetra di fare una collana di LP sulla poesia dialettale italiana. Accettarono e con un amico di allora poi perso di vista, Sergio Colomba, andammo a Bagheria e facemmo il primo disco. Ai pochi che lo ascoltarono piacque moltissimo.
E poi facemmo il disco con Biagio Marin, grande poeta di Grado. Io ero stato a Grado tante volte ospite povero di uno zio molto generoso. Si chiamava Aldo Smareglia ed era il primario dell’Ospedale di Grado. Ancora oggi sono in contatto con i suoi figli che mi hanno molto aiutato quando ho avuto l’ischemia a Gorizia nell’agosto 2002.
Il bello è che mio zio abitava in una grande villa proprio sulla diga di Grado. Una grande villa a due piani divisa verticalmente in due con dei bellissimi giardini. Nell’altra metà della villa abitava Biagio Marin… Dopo aver fatto questo secondo disco, mi accorsi che non riuscivo nemmeno a pagarmi le spese di viaggio, nonostante sullo statuto della Fonit Cetra (allora IRI) c’erano forti incentivi alla cultura…
Se ci ripenso oggi, mi dispiace molto, ma allora andò così: lasciai perdere. I dischi li ho conservati e oltre alle belle poesie recitate dagli autori, sono interessanti i loro punti di vista su tanti argomenti. Peccato sia finita così…

 
dalle note di copertina del disco dedicato a Buttitta

A Bagheria, la vigilia del giovedì grasso, Ignazio mi portò a comperare il pesce. C’era un bel sole a mezzogiorno, faceva caldo e i negozi avevano messo la merce in vista. Capretti, capponi, quarti di bue, trippe, pesci ancora vivi e polpi che a toccarli si contraevano, grandi cespi d’insalata e già i pomodori verdi e rosa. La gente lo salutava “buongiorno poeta”, e quando ci fotografarono insieme nella piazza davanti alla chiesa, mi sono stupidamente commosso. Ho ricordato che qualche anno prima avevo cantato proprio in quella piazza e, mentre stavo aspettando in sacrestia, Buttitta mi era venuto incontro e mi aveva abbracciato.
Da quanti anni ci conosciamo? Quindici, sedici più o meno. La prima volta a Mondelllo. Mi regalò La Peddi Nova, e poi tante altre volte ancora. Io seguendo a malincuore il ritmo del tempo e lui immutabile come una vecchia quercia, i piedi ben piantati in terra, il cappello o la coppola in testa e i suoi versi terrestri, sanguigni.
Così mi era venuta l’idea di mettere tutto in un disco, la sua poesia e lui stesso, il poeta uomo. A casa sua, la sera (dopo aver lavorato quattro ore con il registratore, aver mangiato spaghetti con le sarde, una meravigliosa zuppa di pesce e bevuto qualche bottiglione di vino, un vino rosato fatto con l’uva di Ignazio e spremuta con le sue stesse mani), io e Colomba eravamo veramente cotti.
Ma Ignazio era fresco come un ragazzino. “Quanti anni hai, Ignazio?”
“Ventitré, i primi cinquanta non contano più”.
Una bella notte poi, senza sogni.
E il mattino, sono salito per la collina dietro la casa a vedere le galline e i galli di Ignazio, i suoi limoni, gli aranci. Mi sono seduto sull’erba fresca sbucciando mandarini. In faccia c’era Palermo nella foschia, quasi sospesa tra mare e cielo. Uccelli passavano e salutavano. Non, no è un poeta con la testa per aria, Ignazio
[Sergio Endrigo]





dalle note di copertina del disco dedicato a Marin


Subito dopo la guerra, ho passato un’intera estate a Grado. Avevo quattordici anni. C’ero già stato prima ma ricordavo poche cose. Il viaggio in corriera (non si chiamava ancora pullman), la lunga strada con la laguna attorno e Grado che si avvicinava come un’isola e isola è sempre stata; le farfalle notturne palpitanti sui vetri della terrazza, mia nonna viennese di cui avevo un sacro terrore, mio zio Aldo, i miei cugini più grandi. E, prima di addormentarmi, il fascio di luce di un faro intermittente sulle persiane, il motore di un peschereccio e la risacca sulla diga.
Ora invece avevo tutto da scoprire, la grande libreria di mio zio, la cuginetta del piano di sotto e soprattutto una libertà che credo oggi nessun ragazzo può conoscere.
Una libertà fatta di aria, acqua, luce, senza rumori, pericoli di traffico ed altro. Ero diventato amico dei pompieri che avevano l’autorimessa a pochi metri dalla casa di mio zio e a volte mi portavano in giro sul loro camion rosso luccicante di ottoni. Ricordo sempre l’odore di nafta e acqua che mi portavo addosso al ritorno.
La mattina, dopo aver fatto la spesa alla nonna ed esser stato sgridato e rimproverato perché avevo sempre dimenticato o sbagliato qualcosa, scappavo in giardino, scalavo un muretto ed ero sulla diga, sulla spiaggia libera piena di conchiglie e in fondo alla diga andavo a pescare i “guati” con le “naridole” e i “peoci”.
Ho ricordato tutto questo solo perché Biagio Marin viveva e vive anche oggi nella stessa casa dove abitava mio zio. E’ una grande casa divisa in due da una rete, oggi forse un muretto, che separa i due giardini. Chissà quante volte avrò visto un distinto signore passeggiare tra le zigne, le dalie, i mazzetti multicolori di verbena e le “vanesse” di radicchio e prezzemolo.
O camminare curvo sull’arenile alla ricerca delle sue amate conchiglie, ali di rondine, capesante, ostriche levigate da sembrare vetro.
E oggi ritrovare nei suoi versi quella atmosfera, quel colore, quella malinconia delle sere gradesi quando tutto si placa il mare, il cielo e la gente, per me è una gioia tanto grande da farmi male.
Già il dialetto gradese sta morendo sostituito dalla lingua “ufficiale”, e la laguna con i suoi banchi, le sua valli, i casoni, comincia a conoscere l’inquinamento industriale e forse tra poco la speculazione edilizia.
Cosa resterà della vecchia Grado se non l’Anzolo del Duomo e i versi di Biagio Marin?
[Sergio Endrigo]
 
da una lettera di Ignazio a Sergio...

New York 24.4.1973

Sergio carissimo,
sono in una terra senza amore.
Vedo solo cenere. Meglio carcerato in Sicilia che libero qui.
Da dietro le inferiate si può vedere il cielo e il nostro cielo è umano.
Ti abbraccio, tuo Ignazio
[Ignazio Buttitta]

[da “Sergio Endrigo” (Lato Side Editori, 1982)]

 
qualche link su Ignazio Buttitta...

http://utenti.lycos.it/CSSSSTRINAKRIA/butt.html
http://www.irsap-agrigentum.it/ignazio_buttitta.htm





... e qualcuno su Biagio Marin...


www.biagiomarin.it
www.simonel.com/diario2/marin.html


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